Il metodo ancestrale: la tecnica di spumantizzazione di ritorno dal passato

Il termine ancestrale rimanda al passato, evocando nelle nostre menti le antiche usanze e tecniche proprie dei nostri antenati. È proprio nel passato, infatti, che questo metodo trova le sue radici: quando con i primi caldi della primavera il vino con del residuo zuccherino, ormai imbottigliato, ricominciava a fermentare, ciò che ne derivava era un vino frizzante dal sapore unico.
Accantonata per molti anni, questa tecnica di spumantizzazione, frutto della serendipità, sta tornando in auge vista la crescente attenzione del consumatore di vino nei confronti del naturale, del tradizionale e del genuino.
Ma voi lo sapete come viene prodotto uno spumante ancestrale, anche chiamato dai cugini francesi Pet Nat? Scopritelo insieme a noi!
Cos’è il metodo ancestrale

Per la produzione del vino secondo il metodo ancestrale si parte dalla elaborazione della base che viene effettuata prediligendo in genere le fermentazioni spontanee, ovvero quelle che non prevedono l’utilizzo di lieviti commerciali. La trasformazione degli zuccheri in alcol viene affidata quindi ai lieviti autoctoni, presenti in natura sulle uve. Questa tecnica, secondo i sostenitori del vino naturale, oltre a rendere la vinificazione meno “artificiosa”, consente di rendere unici i vini, limitando la standardizzazione aromatica che può derivare dall’utilizzo dei lieviti selezionati.
I lieviti sono molto importanti perché a loro viene affidato l’arduo compito di trasformare il mosto in vino. Durante il processo di fermentazione, in cui gli zuccheri presenti nelle uve vengono trasformati in alcol, i lieviti producono anche anidride carbonica, ed è proprio questa che viene sfruttata per la produzione delle tanto amate bollicine: ad un certo punto della vinificazione, quando non ancora tutti gli zuccheri sono stati consumati, la fermentazione viene bloccata raffreddando il mosto al di sotto dei 10 °C inibendo in questo modo il metabolismo dei lieviti.
A questo punto il mosto parzialmente fermentato viene imbottigliato, senza ulteriori aggiunte di zuccheri o lieviti. Quando le condizioni esterne torneranno ad essere favorevoli, i lieviti si riattiveranno, ricominciando a produrre alcol e anidride carbonica. La CO2 prodotta e intrappolata all’interno della bottiglia donerà in questo modo al vino quello che i francesi chiamano petillant naturel.
Lo spumante ancestrale

Il risultato di questa tecnica di spumantizzazione è un vino unico, dai profumi intensi e torbido alla vista: questo perché la sboccatura non viene effettuata e il “fondo” tipico di queste produzioni dona quella sensazione di genuinità e di artigianalità che viene sempre più ricercata e apprezzata soprattutto dai consumatori di vino naturale. Se invece fate parte di quella fazione di bevitori che non si sente ancora “pronta” a bere vino non completamente limpido, potete conservare la bottiglia in piedi favorendo così la sedimentazione delle parti solide e al momento del servizio potrete versare lo spumante lentamente evitando che si intorbidisca.
Ideali come aperitivo, ma spesso in grado di accompagnare egregiamente anche pranzi e cene, gli spumanti ottenuti con il metodo ancestrale sono un ottimo jolly da giocare quando a cena si hanno ospiti a cui piace sperimentare. Questa tecnica usata storicamente tra i colli emiliani sui Lambruschi, seppur limitata a produzioni di nicchia è diventata pratica diffusa in tutta Italia, da Nord a Sud: qualsiasi sia la varietà utilizzata gli aromi di fermentazione e le note lievitate, insieme ad una effervescenza poco invadente sapranno stupirvi conquistando i vostri nasi e i vostri palati.
Non vi resta che stappare!